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domenica 31 gennaio 2010

8 - Frammenti di diario

"Venerdì 26 giugno 2009 ore 10.40 precise

A. doveva stare a casa con me (giornata di ferie), ma il lavoro lo ha divorato e si è dovuto svegliare presto per poi cercare, verso mezzogiorno, di portarmi in ospedale, per medicarmi il taglio e andare al colloquio con il Dottore.
Che caro ragazzo, come farei senza di lui? Chi altro potrebbe amarmi nonostante quello che è accaduto? Chi potrebbe amare una persona fuori di testa come me? Chi altro farebbe questo, e tanto altro, per me? La risposta è chiaramente nessuno, se non lui.
Mi sono svegliata alle 6.00 con A., ma poi sono tornata a letto perché avevo terribilmente sonno (in cuor mio avrei voluto un sonno profondo da cui non svegliarmi più), quindi mi sono alzata a stento verso le 9.30, mi sono fatta la doccia e bevuto una tazza di the (più tardi berrò il mio bel frullatone di latte, yogurt e banana).
Ora sono qui davanti a pc a scrivere che cosa?...forse spazzatura o forse qualcosa che potrà essere una soddisfazione. Per ora sento che devo scrivere e scrivo. Non ho altro da fare.
Non c’è nessuno a dirmi che non serve a nulla ciò che sto facendo, anzi, la Dottoressa mi ha incoraggiata a scrivere (…) quando ne sento la necessità perché, a suo dire, scrivo bene ed inoltre mi aiuta a fermare i pensieri (sempre che non abbia inteso male).
Se penso che centinaia di anni fa iniziai a scrivere a macchina un giallo e la storia del mio Mondo Parallelo, mi viene una tale rabbia… Avevo dodici anni e pensavo di trarre un certo profitto dalla mia sfrenata immaginazione e, per l’appunto, dal mio stesso mondo.
Non potevo scrivere per via di N. che continuamente mi diceva che stavo solo perdendo tempo in cose da lei ritenute futili. Stupidamente accantonai entrambi gli scritti, come tutte le altre cose che amavo fare.
Potevo diventare una scrittrice? Una pittrice? Una dottoressa? Un’infermiera? Una cantante? Fatto sta che tutte le mie doti artistiche e non, venivano falciate dalle frecciate odiose e taglienti di N. che le ridicolizzava al massimo, creando in me, giorno dopo giorno, anno dopo anno, un incolmabile vuoto e senso di inadeguatezza verso il mondo che iniziava a circondarmi sempre di più. Ero una “diversa”.
Quello che mi chiedo oggi, è perché negli anni non mi sono mai ribellata e fatta valere invece di ingoiare amaramente le maledette frasi superficiali di N. che abbattevano il mio Io annullandolo lentamente e facendo crescere dentro di me un dolore e una rabbia che poi sfociavano in problemi col cibo e atti di autolesionismo (oltre che creare un automa che faceva solo quello che gli veniva chiesto senza obiettare, tanto aveva imparato a non ribattere e ad incassare).
Ricordo i problemi col cibo di quando ero piccola, che mangiavo poco (e le inutili preoccupazioni di N.) passando ad una situazione contraria durante l’odiata e depressa adolescenza (qui non incontrai nessuna attenzione particolare visto che mangiavo, non importava quando e quanto, l’importante era che ingerissi cibo) in cui io mi sentivo profondamente male (per utilizzare un eufemismo) ed iniziai ad avere dei seri problemi di personalità: volevo essere Mark.
Parlavo continuamente con Dio, col Cielo, con Hans e gli altri amici; i luoghi dove mi trovavo non erano reali, a volte troppo grandi o troppo piccoli, il mio corpo si deformava, i minuti erano ore o istanti, assolutamente non ero italiana e un infinito elenco di altri deliri e allucinazioni, che però mi tenevano e mi tengono in vita.
(…)
La situazione si rovesciò di nuovo a sedici anni, in cui, nel giro di tre mesi, persi più di dieci chili; questa condizione alimentare altalenante continuò fino ai diciannove/venti anni, con i miei genitori che si accanivano contro di me se non mangiavo, ma se mangiavo (e poi andavo a vomitare) non dicevano assolutamente nulla, al solito, l’importante che mangiassi (viva la superficialità…)
Non ero e non sono mai stata un’anoressica o una bulimica, a mio dire, ero solo molto magra, con dei problemi non legati al cibo (questo lo intesi subito, ma non sapevo a chi rivolgermi). Oggi, anche se normopeso, ne porto le conseguenze se pure minori. Mangio senza tanti problemi, comunque evitando cibi da me ritenuti “nocivi” o “impuri”, o cercando di smaltire con inutili corse i suddetti cibi, se ingeriti durante le odiate e, per fortuna, sporadiche orge alimentari.
Successivamente, con il lavoro, iniziai a spendere i miei soldi inutilmente, in acquisti sfrenati, impulsivi e privi di logica.
(…)
Alla domanda “quando è iniziato tutto?” potrei rispondere…mmhm…Da quando sono nata? A sei o sette anni ingoiavo farmaci presi in casa senza farmi vedere sperando che mi facessero del male, oppure leccavo le suole delle scarpe immaginando chissà quali batteri o virus nocivi alla mia salute potessi ingerire. Sin da piccola, mi ubriacavo durante le feste e le occasioni di cene e pranzi con parenti senza che nessuno se ne accorgesse (nota, secondo me, importante: i miei o erano troppo sopra di me, ma in situazioni in cui non servivano, oppure, non lo erano affatto, dove però sarebbero stati necessari. Mi sarò spiegata???). Ahimè ero troppo sana, il mio maledetto organismo funzionava (e funziona) fin troppo bene (anche il fegato, mannaggia a lui…e pensare che ho tentato di danneggiarlo seriamente in svariati modi…).
Poi sono passata ai tagli nel braccio e sul dorso della mano, entrambi destri, e sulle gambe (qui mi incidevo con il portamine). A casa nessuno si è mai accorto di nulla.
All’asilo mi sentivo inadeguata, emarginata (non avevo amici e nessuno giocava con me) e ritirata nel mio mondo, fatto allora, di colori, suoni, sensazioni e libertà. Potevo giocare, quindi potevo stare sempre lì dentro, senza mai uscire. Potevo disegnare (per N. quando si è bambini si può disegnare, poi è un’attività che non può più essere esercitata perché, secondo lei, in questo mondo, serve un lavoro “quadrato” fatto di leggi, contabilità e politica; materie manco a dirlo che a me fanno vomitare).
Poteva essere normale per una bambina di quattro o cinque anni parlare da sola o con i suoi peluches, se poi ad un certo punto la cosa fosse terminata col passare degli anni. E invece no. Anzi. Il tutto, crescendo, si è amplificato ed arricchito: persone “vere” con nomi, cognomi e vissuto, hanno occupato il posto dei peluches.(...)"

"The Rip" Portishead (Third) - 2008



3 commenti:

  1. Sto leggendo molto curiosamente il blog. Io lo trovo molto bello e mi ci riconosco in molte cose che scrivi. Per chiarezza, il mio disagio è "limitato" a un borderline mentre la tua pare una vera psicosi.

    Anche io mi ricordo che parlavo con Dio e a volte mi chiedevo se i miei genitori non mi avessero adottato e robe del genere però la cosa è finita presto, verso i 12 anni mi pare non avevo più queste strane cose nella testa.

    Continuerò a seguirti, il tuo diario è molto interessante continua così. Ciao
    by Paolo

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  2. ...oh! Non so che dirti se non che un grazie di cuore! Essendo all'inizio ho bisogno di essere incoraggiata e sinceramente non credevo potessero piacere i miei scritti, tanto meno leggibili a livello di stato d'animo; credevo addirittura che il tutto potesse risultare noioso e privo d'interesse. Sono felice, grazie di nuovo per il sostegno.

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  3. ---> Paolo: se ti va di parlare un pò di più, trovi la mia mail. A presto!

    RispondiElimina

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